АУТОР(И): Cecilia Gibellini
Е-АДРЕСА: cecilia.gibellini@uniupo.it
DOI: 10.46793/NasKg2354.119G
САЖЕТАК:
A partire da un versetto dei Salmi e da un sonetto di Petrarca, la figura del passero solitario viene ripresa da vari poeti, che ne fanno ora un esempio di sofferente solitudine, ora un campione del canto melo- dioso, più raramente espressione di gioia vitale. Il canto di Giacomo Leopardi, giustamente famoso per la sua bellezza e profondità, confina nell’ombra tutti gli antecedenti. Leopardi, che si identifica in parte con il passero solitario, impone all’immagine il sigillo del suo stile, sicché i poeti successivi oseranno raramente misurarsi con quel tema. Montale ritorna, in prosa e in versi, sull’immagine del passero, con il quale non si identifica espressamente, pur rivelando una misurata empatia. Negli scritti in prosa egli critica i commentatori che hanno scambiato il pro- tagonista del canto leopardiano per un passero comune, uccello dal modesto cinguettio e di indole socievole, mentre si tratta di un volatile di specie diversa, il merlo azzurro o monticola solitarius, amante dell’i- solamento e dotato di un canto melodioso, che gli ricorda un’aria della Manon Lescaut di Jules Massenet. Inoltre Montale nomina il passero solitario in varie poesie, composte a partire dal 1945 e fin quasi alla morte. In questi versi il poeta ligure riflette, tra l’altro, sulla scia che gli animali lasciano nell’animo dell’uomo e soprattutto sul rimorso per aver ucciso un passero solitario in gioventù, durante i soggiorni estivi nelle Cinque Terre.
КЉУЧНЕ РЕЧИ:
Eugenio Montale, Giacomo Leopardi, Giovanni Pascoli, passero solitario, intertestualità, poesia del Novecento
ЛИТЕРАТУРА:
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